Saturday, November 18, 2006

Verbosità

Mettersi a scrivere seduti su una sedia troppo bassa è assai scomodo.
Te ne stai lì, come su un trespolo, le braccia alzate, i gomiti aggrappati al bordo come se tentassi di abbracciare il tavolo, alla ricerca di un centro, un punto dove l’equilibrio sia perfetto, uno spazio tanto piccolo da non essere misurabile, fuori dal tempo, lambito ma mai toccato da nulla. Forse è lì che abita dio.
Con la mano sinistra inchiodi il foglio, temendo forse che anch’esso svolazzi verso la perfezione dell’equilibrio, ma la tua presa diviene malferma ogni volta che sollevi la mano alla bocca per tirare un po’ di fumo dalla sigaretta. Il foglio resta lì, resta sempre lì, forse preferisce essere scritto, ottemperare alla sua ontologia, mentre la mano destra lo percorre brandendo la penna, lasciandosi dietro soltanto piccoli tagli che si cicatrizzano all’istante. Poi la mano rallenta fino a fermarsi, la scrittura avverte il cambio di passo e si distende, diviene più marcata, quasi elegante. Le parole sembrano quasi più belle e sagge mentre si avviano verso l’ultimo punto.
A volte è così anche per gli uomini.

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